* SONO IN MAROCCO *
Dal profondo Sud di un immenso Paese traggo immagini fotografiche che, riguardandole tempo dopo, mi accorgo che hanno in comune il colore marrone della terra. E’ la terra delle montagne disegnate da un antico fiume prima e modellate poi dal vento, montagne aride, storte, che guardo dall’alto di altre montagne altrettanto aride e altrettanto storte lungo le quali
mi sto arrampicando a bordo di un autobus la cui larghezza corrisponde esattamente a quella della ripida e tortuosa strada che stiamo percorrendo. Ho proprio un po’ paura ma il paesaggio è talmente suggestivo che penso sia valsa la pena di essere
arrivata fin qui. Lascio le montagne dell’Atlante e, proseguendo il mio itinerario, incontro, di quando in quando, un
centro abitato, poche case e poche anime. Il colore è di nuovo quello della terra con cui vengono edificate le umili ma dignitose abitazioni. L’immagine di una adolescente è assai più preziosa per me di quanto si possa pensare. E’ una delle
poche persone che che mi abbia consentito di scattarle una fotografia senza tendere la mano per una ricompensa. No, non ti ruberò l’anima, rosa del deserto, e ti sono riconoscente per il sorriso che mi stai regalando. A quaranta chilometri dal confine con l’Algeria, all’alba, un Berbero accoglie il primissimo raggio di sole sulle dune di Merzouga. Il suo atteggiamento, nel silenzio, rotto solo dal leggero sibilo del vento, sembra di preghiera. Davvero ci si sente molto vicini al proprio Dio dopo avere
affannosamente scalato le alte dune di sabbia al buio, al freddo e al vento della notte dopo un lungo viaggio in jeep e con gli occhi che ancora bruciano di sonno. Non avrei mai intrapreso questa avventura senza un’abbondante e sostanziosa colazione, invece solo un thè caldo alla menta (e neanche un biscotto…). Quando arrivo in cima sono stremata ma intanto ho visto la sabbia da nera diventare rosa, poi arancione, poi gialla, gli stessi colori che ritrovo a Marrakech, nei souk brulicanti di mercanti di ogni cosa.
L’anziano venditore di carbone, accantonata con una moneta la questione del furto dell’anima, si lascia immortalare davanti al suo “negozio”, vecchio di trecento anni. Con la differenza che allora, sull’uscio, non faceva bella mostra di sé l’insegna “Coca Cola”